Acufene e psicologia: uno psicologo per l’acufene?

“Fischiava per la mia tensione, un po’ come si fa con i taxi
Senza una tregua, una continuazione, ma come si fa a coricarsi?
Da solo nel letto a dannarmi, nella stanza cori urlanti”…

“Uno squillo ossessivo, come un pugno sul clacson
Primo pensiero al mattino
L’ultimo prima di buttarmi giù dal terrazzo”…

“Sentivo fischi pure se il locale carico applaudiva
Calo d’autostima
Non potevo ascoltare la musica come l’ascoltavo prima
[…] una pressione continua
La depressione poi l’ira”…

“Credevano che fossi matto
Volevano portarmi dentro
Ho visto più medici in un anno
Che Firenze nel Rinascimento
Stress
Iniziano a dire non sanno che pesci pigliare
A parte quello d’aprile
Vorrei vederlo sparire”…

“Solo chi ce l’ha comprende quello che sento, nel senso letterale
E poi non mi concentro, mi stanca
Sto invocando pietà, […]
Il suono del silenzio a me manca
Più che a Simon e Garfunkel”…

Caparezza, “Larsen” (capitolo: la tortura)

DEFINIZIONE DI TINNITO E DI ACUFENE

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Cos’è questo fastidioso disturbo? La parola “tinnito” deriva dal latino tinnire, tintinnare, e indica la percezione di suono in assenza di uno stimolo acustico. Mentre “acufene” viene dal greco: acuo ascolto e fainomai ovvero suono, fenomeno acustico. Può essere avvertito sotto forma di ronzio, tintinnio, scroscio, fischio, sibilo o presentarsi come un complesso di più suoni che varia nel tempo. Il tinnito  (o acufene) può essere intermittente o continuo, può essere quasi impercettibile o avere un volume fastidiosamente alto e, solo in rari casi, può essere completamente eliminato. Soprattutto quando è continuo e molto alto può dar luogo a molteplici effetti concomitanti:

  • sofferenze emotive;
  • stress;
  • abbassamento del senso di auto-efficacia;
  • calo dell’autostima;
  • isolamento;
  • solitudine;
  • disturbi del sonno;
  • dolore;
  • difficoltà di concentrazione;
  • spossatezza;
  • difficoltà di comunicazione;
  • veri e propri stati depressivi.

“Percezione acustica non organizzata, non realmente prodotta da alcuna sorgente sonora, né all’interno né all’esterno del nostro corpo”. Più semplicemente: l’acufene. 

La definizione più corretta di acufene esclude tutti i fenomeni percettivi che riguardano rumori e vibrazioni che hanno un’origine meccanica e che sono prodotti da una generica fonte sonora all’interno del corpo (il battito cardiaco, il respiro, la deglutizione, ecc…). Se i ronzii, i fischi, i sibili, ecc… non sono prodotti nel corpo, ma sono prodotti all’interno delle vie uditive neuro-sensoriali (il cui punto di partenza è l’orecchio interno e il cui punto di arrivo è la corteccia temporale “uditiva” e viceversa), si può parlare di acufene propriamente detto.


CLASSIFICAZIONE DEGLI ACUFENI

Nella pratica clinica, tuttavia, esistono diversi tipi di classificazione degli acufeni:

1. ACUFENI OGGETTVI vs SOGGETTIVI

La classificazione più frequentemente proposta è quella fra acufeni oggettivi e soggettivi, in base alla possibilità di registrarne, con strumenti, la presenza:

  • OGGETTIVI: il suono è generato dall’attività biologica del corpo. Il rumore che il paziente percepisce esiste davvero ed è avvertibile anche dagli altri, trattandosi di rumori prodotti da strutture vicine all’orecchio che, a causa di un’alterazione dei rapporti vascolari o a causa di un aumento della pressione sanguigna possono trasmettere alle strutture ricettive il rumore del battito cardiaco.
  • SOGGETTIVI: è la forma più comune di acufene ed interessa circa il 20% della popolazione. In questo caso il suono è generato da un’anomala attività nervosa: il paziente sente cioè manifestazioni di impulsi elettrici “parassiti”, generati in qualche punto del sistema nervoso centrale. La condizione è spesso valutata clinicamente attraverso una semplice scala da “lieve” a “catastrofica” in base agli effetti che essa comporta, quali l’interferenza con il sonno e con le normali attività quotidiane. La ricerca recente ha anche proposto due categorie distinte di acufene soggettivo: l’acufene otico, causato dai disordini dell’orecchio interno o del nervo acustico e l’acufene somatico, causato da disordini che non riguardano l’orecchio o il nervo, pur trovandosi all’interno della testa o del collo. Si ipotizza inoltre che l’acufene somatico possa essere dovuto a un “central crosstalk” con il cervello.

2. ACUFENI AUDIOGENI vs NON AUDIOGENI

La classificazione fra acufeni oggettivi e soggettivi, fatta in base alla possibilità di registrarne la presenza, non appare sufficientemente realistica in quanto, ad oggi, non esistono strumenti in grado di misurarli. Altre classificazioni, basandosi sulle diverse strategie terapeutiche,  propongono la suddivisione degli acufeni in:

  • audiogeni (o endogeni): sono quelli ad alta probabilità di insorgenza da un danno o una disfunzione dell’apparato uditivo a livello della chiocciola (coclea) o delle vie nervose uditive: in questi casi l’orecchio registra e trasmette rumori provenienti patologicamente dal proprio interno. Nella coclea ci sono infatti 12.000 “microfoni” per trasformare i suoni in segnali elettrici. Essendoci tanta corrente elettrica nell’orecchio interno è evidente che, se qualche struttura subisce anche un piccolissimo danno, aumenta notevolmente quel “rumore elettrico” di fondo che può dare luogo all’acufene;
  • non audiogeni (o esogeni): sono quelli che originano in patologie e disfunzioni situate al di fuori dell’apparato uditivo, in altri organi o apparati, come quello vascolare, muscolare, articolare, che vengono solo percepiti dall’orecchio e quindi trasmessi al sistema nervoso. Anche gli acufeni provenienti dall’orecchio ma causati da presenza e movimento di secrezioni catarrali fra tromba di Eustachio e cassa timpanica dovrebbero essere considerati non audiogeni,  in quanto la loro origine è al di fuori del complesso chiocciola-vie nervose uditive.

LE CAUSE

L’acufene non è classificabile come una malattia, ma come un sintomo aspecifico; come una condizione che deriva da una vasta pluralità di cause e situazioni. Vediamone alcune:

  • danni neurologici (ad esempio dovuti a sclerosi multipla),
  • infezioni dell’orecchio,
  • stress ossidativo,
  • stress emotivo,
  • depressione,
  • presenza di corpi estranei nell’orecchio,
  • allergie nasali che impediscono (o inducono) il drenaggio dei fluidi,
  • accumulo di cerume,
  • l’esposizione a suoni di elevato volume,
  • la sospensione dell’assunzione di benzodiazepine,
  • effetto collaterale di alcuni farmaci (acufene ototossico),
  • accompagnamento della perdita dell’udito neurosensoriale,
  • conseguenza della perdita congenita dell’udito.

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ASPETTI PSICOLOGICI LEGATI ALL’ACUFENE

Da tempo l’acufene è riconosciuto come uno dei principali sintomi tra i disturbi fisici collegati allo stress e agli stati ansiosi  e negli ultimi è uno tra i più diffusi nella popolazione. Anche se colpisce le persone in modo diverso, è possibile che insieme agli acufeni nel paziente si presentino:

  • problemi del sonno,
  • affaticamento,
  • stress,
  • depressione,
  • difficoltà di concentrazione,
  • problemi di memoria,
  • ansia,
  • irritabilità.

Il trattamento di queste condizioni  non  influisce direttamente sull’acufene, ma può aiutare ad alleviarlo. In chi soffre di acufene è infatti comunemente riscontrabile una situazione di generico stress: stress che potrebbe esserne sia la causa, sia l’effetto. La comparsa del disturbo tende ad accentuare nel paziente irritabilità, nervosismo e ansia. E’ possibile affermare quindi che nell’acufene la componente neuro-psicologica sia prevalente; la componente psicologica, cioè, gioca un ruolo fondamentale nel generare, affrontare, mantenere, alleviare e risolvere il problema. Se è vero infatti che un sistema nervoso efficiente è essenziale per dominare l’acufene, è altrettanto vero che stress e nervosismo sottraggono al cervello le risorse necessarie a tenere sotto controllo il disturbo.

Il nostro sistema nervoso è in grado di affrontare la comparsa dell’acufene in modo ottimale: se il sistema nervoso funziona correttamente impara a identificarlo e gradualmente (da alcune settimane ad alcuni mesi) a costruire un “filtro”,  per impedirgli di arrivare al livello della coscienza. Parliamo del “meccanismo di percezione selettiva”. Una condizione di ansia, invece, è uno dei più grossi ostacoli alla guarigione: i pazienti con un basso livello di ansia, riuscendo a creare una condizione di distacco emotivo dal disturbo, guariscono prima, mentre quelli molto ansiosi tendono a fare più fatica, a causa dell’interferenza negativa che l’agitazione ha su tutte le attività cerebrali, anche su quelle necessarie a sopprimere l’acufene. Una cosa analoga accade con la stanchezza mentale checausando un diminuzione delle performance cerebrali, può portare ad un calo di prestazione del “filtro” e favorire il riapparire dell’acufene, anche a distanza di anni dalla guarigione.

L’acufene può provocare depressione ma, come accade anche con l’ansia e lo stress,  può essere vero anche il contrario: può essere cioè uno stato depressivo a rivelare l’acufene, riducendo l’efficacia del sistema di controllo (il cosiddetto “filtro”). L’ acufene infatti ce l’abbiamo tutti, anche chi normalmente non lo sente. Il non sentirlo dipende dal controllo della “centralina” neuronale del sistema limbico, posta a metà strada tra la periferica audio (chiocciola) e lo schermo della coscienza uditiva (corteccia temporale). Ricordiamo che i circuiti coinvolti maggiormente nella depressione sono due: la corteccia prefrontale (e.g., Samara et al, 2018), che è la sede delle nostre funzioni superiori, dei nostri pensieri e del controllo degli impulsi e, appunto, il sistema limbico (e.g., Redlich et al., 2018) che, collegato all’affettività e alle emozioni, filtra gli stimoli esterni attraverso lo stato emotivo.

Alcuni ricercatori del NIHR (National Institute for Health Research) del Nottingham Biomedical Research Center, attraverso uno studio compiuto su 500.000 persone tra i 40 e i 69 anni, sostengono di aver trovato una correlazione tra determinati tratti di personalità e acufene. I risultati della ricerca, pubblicati su Science Direct, mostrano come alcune caratteristiche personologiche siano maggiormente associate alla comparsa e al perdurare dell’acufene. Eccole:

  • tendenza ad isolarsi e a vivere in modo solitario,
  • tendenza a preoccuparsi per la maggior parte del tempo,
  • livello di attivazione nervosa elevato,  
  • umore basso o sbalzi di umore.  

La personalità e, forse ancor di più, i meccanismi di coping (strategie usate per fronteggiare lo stress), quindi, sembrano essere correlati alla percezione dell’ acufene. L’acufene perciò può, in buona sostanza, essere considerato un disturbo soggettivo: lo stesso livello di acufene può essere descritto da un paziente come intollerabile e da un altro appena percettibile (anche a causa del livello di stress, ecc…). Non tutti reagiscono allo stesso modo, ad esempio, anche se gli uomini ne sono risultati più colpiti, sono le donne che mostrano una propensione a ritenerlo più fastidioso. Molti pazienti con acufene infatti tendono a concentrarsi sul problema, intensificando in questo modo il disturbo. Un trattamento per la gestione dello stress può avere successo nella terapia dell’acufene, è necessario poi promuovere il sollievo attraverso uno spostamento dell’attenzione, il riposo da uno stato di tensione e il supporto alle difese funzionali a scapito di quelle disfunzionali.


DALLO PSICOLOGO PER L’ACUFENE

La maggior parte dei pazienti con acufene può essere aiutata da un intervento psicologico. Questo disturbo, solo apparentemente banale, può creare un vero e proprio stato invalidante, coinvolgendo l’assetto emozionale del malato, la sua vita di relazione, il ritmo sonno-veglia, le attitudini lavorative, il livello di attenzione e concentrazione, inducendo o, molto più spesso, potenziando stati ansioso-depressivi preesistenti, interferendo pertanto sulla qualità della vita. Gli effetti sulla vita delle persone colpite dal disturbo, così come dichiarato da loro stesse, sono spesso molto drammatici.

Quali soluzioni? Se viene individuata una causa di fondo, il trattamento medico dell’acufene può portare a miglioramenti. In caso contrario, se l’acufene è “da stress” , in genere si ricorre al sostegno psicologico.

Il sostegno psicologico

La vita di chi è affetto da acufene ha subìto un cambiamento in termini qualitativi. Lo psicologo in questi casi interviene come quell’alleato che aiuta la persona a mettere in campo le risorse necessarie ad affrontare il disagio e a ridare slancio alla propria esistenza. Con il sostegno psicologico non si cerca di eliminare l’acufene (ciò che tenta di fare, non sempre con successo, l’approccio otorinolaringoiatrico), si cerca invece migliorare la qualità di vita, il tono dell’umore, lo stato di benessere psico-fisico del paziente, portandolo ad avere più strumenti utili per superare i momenti di incertezza e di difficoltà derivati dall’acufene.

Chi soffre di acufene spesso è portato a pensare al peggio, ad un tumore cerebrale o ad altre gravi patologie endocraniche. Tuttavia vale la pena ricordare che l’intensità e la durata delle reazioni emotive di fronte ad un evento, dipendono strettamente dal significato che viene attribuito all’evento stesso. Ecco che il sostegno di uno psicologo, ovviamente previo un consulto con l’otorinolaringoiatra che dovrà escludere una patologia importante, si rivelerà fondamentale nel sostegno al paziente.

Mindfulness

L’obiettivo della Mindfulness è favorire il benessere psicologico della persona. In questo caso la Mindfulness cerca di facilitare la convivenza con il “disturbo acufene” contrastando la concentrazione dei pensieri e dell’attenzione sul disturbo. Accettare l’acufene non significa subirlo passivamente, significa compiere una scelta attentiva, significa allenare i processi mentali che portano ad escludere il più possibile, dalla coscienza, la fastidiosa interferenza uditiva. Il decentramento dei pensieri è un’altra azione cognitiva importante dove il soggetto non dovrà essere sopraffatto dal pensiero acufene. Il concetto di mindfullness deriva dagli studi di meditazione buddista, Zen e Yoga, scevro tuttavia da ogni componente religiosa. La mindfullness si è rivelata importante per imparare a vivere l’esperienza dell’acufene in modo differente da come siamo abituati a fare. Si deve imparare a valutare l’acufene come un fenomeno che accade dentro di noi, accettandolo per ciò che è, senza poterlo modificare. Nel paziente con acufene infatti si crea un circolo vizioso tra attenzione selettiva, pensieri rivolti al disturbo acufene e aumento del disagio. Questa meditazione si pone l’obiettivo di interrompere questo circolo. La finalità è quella di arrivare a decentrare i pensieri e scoprire di poter convivere con l’acufene.

In conclusione: il sostegno psicologico, soprattutto se basato sull’approccio olistico,  permette di lavorare sia sul corpo (sfera corporeo-emotiva) sia sui processi cognitivi (attenzione, pensieri, memoria, attribuzioni di significato, ecc…) connessi all’acufene. Il fine è recuperare il benessere, superando stress, ansia, eccessiva attivazione interna e negativismo. La mindfulness, in particolare, agisce migliorando le capacità soggettive di convivere con il sintomo.


Come psicologa, oltre al servizio di consulenza online, ricevo in studio a San Polo di Torrile (Parma). Da oltre 10 anni ascolto ed aiuto le persone, concretamente, ad uscire dalle situazioni difficili, a fronteggiare le sfide esistenziali e a riprogettare il futuro.

In condizioni di stallo motivazionale e sofferenza psicologica posso aiutarti a superare le tue difficoltà, accompagnandoti verso una consapevolezza rinnovata di te, dei tuoi bisogni, delle tue priorità e del tuo modo di “funzionare”. Posso aiutarti a ritrovare la serenità e  il benessere.

Dott.ssa Silvia Darecchio – contatti